lunedì 22 novembre 2010

coop, l'acqua e il green marketing. luci e ombre.

quando una pubblicità solleva argomenti un po' più seri.

andiamo per ordine.

coop lancia una campagna consumerista per promuovere il consumo dell'acqua di rubinetto.



la littizzetto fa da testimonial.



scoppiano le polemiche.
insorgono i produttori di acqua, che della coop stessa riempiono gli scaffali, mentre dall'altra parte coop cerca di individuare fonti vicine ai propri ipermercati per offrire acqua A MARCHIO COOP a chilometri zero. e non solo. lancia sul mercato una propria caraffa.

è sicuramente un argomento delicato.
sebastiano renna, dalle pagine di vita, scrive una lettera aperta alla litizzetto, spiegando luci e ombre della questione.

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Cara Luciana Litizzetto,

da qualche giorno sono in tv gli spot a marchio Coop di cui sei protagonista.
Bisogna ammettere che questa campagna, nata per promuovere il consumo dell’acqua del rubinetto, sta suscitando apprezzamenti entusiastici da più parti: ambientalisti, associazioni consumeristiche, sindacati, amministratori locali.
Del resto, come non condividere i presupposti che la ispira?
E come non restare conquistati dalla tua ironia mentre ci spieghi che se non vogliamo fare la figura dei “balenghi” – e abbracciare invece stili di vita intelligenti e sostenibili – la scelta giusta è mettere più spesso il bicchiere sotto il rubinetto?
In realtà, cara Luciana, le cose non stanno proprio come Coop vorrebbe farci credere.
Se hai qualche minuto di pazienza vorrei spiegarti il perché.

Luci e ombre dell’offensiva Coop
Scaltramente Coop affida il messaggio della superiorità dell’acqua di rubinetto alle sintesi giornalistiche e alle suggestioni del tuo spot pubblicitario. Ma sul suo sito web dimostra di essere pienamente consapevole del fatto che anche la scelta dell’acqua del sindaco ha le sue belle controindicazioni.
Quindi ci va col freno a mano tirato.
La qualità dell’acqua che esce dai nostri rubinetti è ampiamente disomogenea a livello territoriale.
L’Osservatorio di Cittadinanzattiva sui servizi idrici 2009 evidenzia come 8 Regioni (erano 13 nel 2007) hanno chiesto deroghe al Ministero della salute per poter dichiarare bevibili le acque in alcuni comuni dei loro territori.
E’ dunque decisivo sapere esattamente cosa esce dal rubinetto. Ma questo non è sempre facile. Trovare dati trasparenti e chiari, aggiornati tempestivamente e accessibili a tutti è una prerogativa assicurata solo agli utenti di alcune (25) multiutility in Italia.
C’è poi da dire che i parametri di controllo della qualità dell’acqua sono riferiti a ciò che scorre nella rete acquedottistica pubblica, mentre bisogna considerare cosa succede alla stessa acqua quando raggiunge le cisterne dei condomini e le tubazioni di ciascuna abitazione.
Infine, le perdite della rete idrica in Italia sono da record europeo. Secondo te, Luciana, se un litro su tre di acqua potabile trasportata dagli acquedotti pubblici viene sprecato (le stime parlano di un 30-35% di dispersione), di quale salvaguardia ambientale stiamo parlando?

Coop e la bottiglia ecologica
Un ulteriore – e non di secondo piano – motivo per cui la Coop si guarda bene dal contrastare apertamente il business delle acque minerali è che essa stessa è uno dei player emergenti di questo mercato e punta ad esserlo sempre di più. Non a caso i messaggi della sua campagna appaiono piuttosto ondivaghi. Anche nello spot da te interpretato. Sostieni che l’acqua del rubinetto è la scelta migliore, ma contestualmente aggiungi che un un’alternativa di pari livello per i “resistenti” dell’acqua minerale c’è: è l’acqua a marchio Coop.
E’ credibile sguainare la spada a favore dell’acqua pubblica e nello stesso tempo invitare i consumatori refrattari a rivolgersi alla minerale a marchio proprio?
La giustificazione di questo “avvitamento retorico” sarebbe rappresentata dai titanici sforzi che la catena distributiva sta compiendo per rendere più “ecologically correct” il proprio prodotto.
Così si è premurata di informarci che ha provveduto a ridurre la grammatura delle proprie bottiglie in Pet, ottenendo un risparmio di emissioni di CO2 pari a 3.300 tonnellate.
Ma Coop non è affatto l’unica a investire sul packaging ecologico. Anzi, si tratta di una leva di differenziazione del prodotto da tempo diffusa tra le aziende del settore.
Si può citare Sant’Anna, che nel 2008 ha lanciato “BioBottle”, prima bottiglia prodotta con una rivoluzionaria bioplastica ricavata dalla fermentazione degli zuccheri delle piante, biodegradabile al 100% dopo 80 giorni. Coop dovrebbe ricordarsene, visto che venne presentata in anteprima proprio negli Ipercoop di tutta Italia. Così come dovrebbe ricordarsi della San Benedetto, premiata dalla Coop stessa, sempre nel 2008, come una delle aziende più virtuose nel risparmio delle emissioni di CO2 nell’ambito del progetto “Coop for Kyoto”, che la catena distributiva promuove tra i propri fornitori.
Progetti di questo tipo sono in corso anche da parte delle aziende che gestiscono marchi come Levissima, Lete, Lilia e Ferrarelle. Insomma, Coop è in nutrita e variegata compagnia su questo fronte.

Coop e il “federalismo” delle acque minerali
L’altra argomentazione “ecologica” usata da Coop è che sta lavorando per diversificare le proprie fonti di approvvigionamento dell’acqua minerale, in maniera da coprire i consumi dei diversi territori limitando al massimo gli spostamenti su gomma. Grazie a queste operazioni di delocalizzazione produttiva Coop stima di far percorrere alle proprie bottiglie circa “30 km in meno per ogni viaggio, con un risparmio annuo di 350 mila kg di CO2”.
Un beneficio ambientale che appare un po’ misero (per questo viene espresso in chili e non in tonnellate?), soprattutto se si tiene conto che questo saldo va ulteriormente ridotto per effetto delle emissioni di CO2 prodotte dal moltiplicarsi degli impianti di imbottigliamento.
Insomma, non è affatto detto che incrementare il numero degli stabilimenti per coprire distanze inferiori dai punti vendita porti ad un beneficio netto in termini ambientali.
E poi, anche su questo versante, ci sono aziende che stanno attuando la medesima politica di Coop (ad esempio Norda) e aziende, come le Fonti di Vinadio (Sant’Anna), che stanno cercando di utilizzare il trasporto su rotaia per coprire le grandi distanze.
Se l’obiettivo di Coop fosse davvero spingere i consumi delle acque minerali che fanno meno strada, basterebbe attuare una molto concreta politica commerciale basata sulla parametrazione dei fee d’ingresso sui propri scaffali alla vicinanza della zona di produzione. In questo modo verrebbe garantito l’accesso alla grande distribuzione di piccoli imbottigliatori regionali, che non possono permettersi di pagare le somme che versano a catene come Coop le grandi multinazionali dell’acqua per assicurarsi un prezioso posto a scaffale.
L’operazione presenterebbe una serie di controindicazioni economiche e organizzative, ma l’ambiente viene prima di tutto. O no?

Il vero fattore di insostenibilità resta nell’ombra
Nella sua campagna di progresso e civiltà Coop ha stranamente dimenticato di citare la vera “pietra dello scandalo”: l’irrisorietà dei canoni di concessione che le aziende pagano alle Regioni (quindi a noi tutti) per appropriarsi delle acque di sorgente e realizzare il loro lucroso business. Un dossier di Legambiente e Altreconomia del 2009 evidenzia come il rapporto tra il costo dell’acqua e il suo prezzo finale costituisca una cifra davvero insignificante. Il prezzo più basso si paga in Liguria, dove ogni litro imbottigliato viene pagato appena 0,05 millesimi di euro. In Veneto, nonostante sia previsto il canone più alto di tutta Italia, il costo dell’acqua è di soli 3 millesimi al litro, ovvero solo lo 0,6% del costo finale dell’acqua per i consumatori.
Una vera battaglia consumeristica sull’acqua basata su criteri di maggiore socialità e sostenibilità dovrebbe porre tra i primi punti un’azione di pressione sulle istituzioni pubbliche affinchè si arrivi al varo di una normativa nazionale che uniformi e innalzi a soglie ragionevoli i canoni di concessione. Invece su questo c’è stato silenzio assoluto.

Il presunto sacrifico economico
Coop sostiene che sarebbe pronta – in conseguenza del potere di convincimento che accredita alla propria campagna – a veder ridurre i suoi incassi del 10% su un volume d’affari (quello delle acque minerali) di 190 milioni di euro.
Ma sarebbe davvero un sacrificio così grande?
In realtà, almeno su una fetta di questo giro d’affari, Coop si attende ben altro che una riduzione. Si tratta dei 35 milioni di euro che rappresentano gli incassi dell’acqua a marchio proprio. Oltretutto questa fetta è proprio la più succulenta dell’intero business, perché da essa Coop trae un margine considerevole, essendo anche il produttore.
Lì dove invece si limita a fare da distributore, il margine è così basso che una riduzione del volume d’affari verrebbe accolta come un’ottima notizia, perché si coglierebbe l’occasione per limitare, nei magazzini e all’interno dei punti vendita, gli spazi dedicati allo stoccaggio delle casse di acque minerali per ricavare nuovo spazio da dedicare a prodotti molto più remunerativi (magari la caraffa Coop che filtra l’acqua di rubinetto).
Campagna educativa per chi?
Insomma, cara Litizzetto, parlare – come fanno i vertici Coop – di “campagna educativa e informativa con un’anima sociale”, che prende le mosse dalla convinzione che “prima dell’interesse strettamente commerciale vengono quelli del cittadino-consumatore e dell’ambiente” forse risulta un tantino fuori luogo, non credi?
La campagna tocca temi importanti ed ha comunque molti aspetti di indubbio valore, ma definiamola per quello che è: un’operazione di “green marketing”.
E, se proprio vogliamo tirare in ballo l’aspetto educativo, allora bisogna dire che diverse aziende avrebbero tanto da imparare, osservando l’abilità mediatica (nella quale è compreso l’aver scelto te quale testimonial) con cui Coop gestisce le tematiche della “sostenibilità” per “sostenere”, prima di tutto, le proprie ambizioni commerciali.
Ovviamente non c’è nulla di male in tutto questo.
Ma si farebbe più bella figura a dichiararlo apertamente e dall’inizio.
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